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NECROLOGIO
[in «Miscellanea Storica della Valdelsa», CXXII (2016), 2 (331), pp. 187-190]
Francesco Parlavecchia
(7 luglio 1921 - 25 gennaio 2017)
Nato a Salerno, a due passi dal Duomo, trascorse l’adolescenza tra gli studi presso il liceo classico ‘Torquato Tasso’ e la grande passione per il cinema, facilitata dalla possibilità di vedere film usufruendo della tessera del padre, agente dell’agenzia cittadina della SIAE. Iscrittosi all’Università di Napoli nel 1939, poté usufruire del rinvio del servizio militare fino a che la propaganda del regime fascista decise che la classe 1921 sarebbe stata quella della immancabile vittoria e quindi gli universitari ‘chiesero’ l’onore di essere arruolati. L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo sorprese a Bolzano, quale sottotenente del Genio e fu quindi fatto immediatamente prigioniero dai tedeschi e internato, prima in Polonia e poi in Germania.
Rientrato a Salerno dopo la fine della guerra, si laureò nel 1946 in Lettere e iniziò a partecipare attivamente alla vita politica e culturale del capoluogo campano. Si iscrisse al Partito d’Azione e, dopo il suo scioglimento, al Partito Socialista Italiano, collaborando al settimanale della Federazione salernitana «Il lavoro». Fedele ad un ideale di laicità che non lo abbandonerà mai in tutta la sua vita e che trasporrà sempre nella sua attività politica e amministrativa, fu eletto presidente della sezione salernitana dell’associazione ‘Giordano Bruno’. Tra i fondatori di un cine club e redattore della rivista «Oceano celluloide», organizzò la 1ª Mostra nazionale del cinema a passo ridotto (16 millimetri).
«Era in [una] Castelfiorentino ricca di tradizioni democratiche e socialiste che [giungeva] un giovane professore salernitano […]. Con lui la vita politica e culturale cittadina acquisiva un altro sicuro protagonista per i decenni a venire». Così Antonio Casali (Castelfiorentino 1930-1980. Medietà, sociabilità, trasformazioni. 1. Gli anni difficili: dal regime fascista alla guerra fredda (1930-1951, Pisa, Pacini, 2000, p. 185) ricordò l’arrivo di Francesco Parlavecchia nell’autunno 1947 a Castelfiorentino, per insegnare nell’appena istituita sezione del Ginnasio, segnalato alle autorità scolastiche dal samminiatese prof. Antonio Gamucci, che era stato suo commilitone prima e compagno di prigionia poi. L’esperimento del Ginnasio durò un solo anno, ma egli decise di restare nella cittadina valdelsana e passò a insegnare materie letterarie nella scuola media comunale, avendo nel frattempo conosciuto la castellana Eda Righi, che sposò nel 1948.
Negli anni successivi coniugò l’impegno didattico con quello culturale, politico, istituzionale. Nel 1956 vinse il concorso a cattedre nelle scuole medie statali, lasciando momentaneamente Castelfiorentino per Montalcino, Santa Croce sull’Arno, Certaldo, per ritornarvi nel 1959 quale preside incaricato. Nel 1965 vinse il concorso per preside, ruolo che ricoprì a Poggibonsi, Signa, Empoli, Rosignano Marittimo, dove si trasferì nel 1980 per motivi familiari.
Collaborò, in forma anonima, alla stesura di Lettera a una professoressa, il famoso libro della scuola di Barbiana. Come ha ricordato l’insegnante Adele Corradi, quando a don Milani e ai suoi ragazzi servirono, nel 1966, dati precisi per sostenere le tesi della Lettera, essa fece il suo nome, perché lo considerava un preside molto intelligente e aperto di mente e si recò a Poggibonsi dove egli era preside, ricevendo tutte le informazioni di cui avevano bisogno (si veda l’edizione critica di Lettera a una professoressa, curata da Valentina Oldano, nel primo tomo delle opere complete di Lorenzo Milani, apparso recentemente nella collana «I meridiani», editore Mondadori, pagine 835 e 862, nota 9).
In occasione della sua scomparsa alcuni suoi ex allievi hanno voluto sottolinearne «l’insegnamento puntuale, allegro, come era nel suo carattere, ma senza sconti intellettuali, la piacevole dialettica e la pungente ironia, l’intelligenza e la cultura profonda mai esibita o imposta», mentre molti ex colleghi lo hanno ricordato come «modello a cui riferirsi, per la sua competenza, signorilità, umorismo, ironia».
Appena arrivato a Castelfiorentino, la militanza politica di Parlavecchia fu immediata, non solo nella sezione del Partito Socialista (di cui sarà segretario in periodi diversi, oltre che corrispondente del quotidiano «Avanti!»), ma anche in occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche del 18 aprile 1948, in quanto era stato nominato presidente del Fronte Democratico Popolare: il suo impegno fu rivolto soprattutto a cercare adesioni anche al di fuori dei due partiti (PCI e PSI) che ne erano i principali sostenitori. Negli anni ’50, durante la dura repressione poliziesca del ministro dell’interno Mario Scelba, fu più volte denunciato, insieme a centinaia di altre persone per aver promosso manifestazioni popolari di protesta e subì anche processi, da cui peraltro uscì sempre assolto.
Nel 1960 Parlavecchia fu eletto nel Consiglio comunale di Castelfiorentino e divenne assessore alla Pubblica Istruzione, mantenendo sempre la propria autonomia di giudizio, come quando, nel Consiglio, prese posizione contro l’Unione Sovietica per la condanna dei due dissidenti Andrej Sinjavskij e Iulij Daniel. Lasciò la carica di assessore nel 1966, quando si registrò una spaccatura, a livello provinciale, tra il PCI e il PSI, con il conseguente abbandono delle giunte da parte degli assessori socialisti. In quella occasione il Sindaco Mario Cioni gli indirizzò una non formale lettera con la quale lo ringraziava per la sua opera «sempre improntata con lealtà ed identità di vedute nell’interesse delle classi lavoratrici».
Fu eletto consigliere comunale anche nelle elezioni amministrative del 1964 e del 1970, mentre nel 1978 dovette rinunciare, a causa della grave malattia della moglie (che in pochi mesi la portò ad una prematura morte), all’incarico di consigliere e di assessore, essendo il PSI rientrato a far parte della maggioranza.
Il suo impegno culturale si concretizzò soprattutto quando, nel 1952, fu nominato, insieme a Giorgio Mori, nella nuova Commissione della biblioteca comunale Vallesiana, di cui non solo divenne presidente, ma fu per anni l’animatore e colui che, insieme ad altri volontari, l’apriva al pubblico la domenica mattina. In pochi anni passarono dalla sede di via Tilli prestigiosi esponenti della cultura toscana e italiana che fecero conoscere e discussero i temi più vivi del momento: da Cesare Luporini a Carlo Battisti, da Giuliano Procacci a Adriano Seroni, da Ernesto Ragionieri a Aldo Capitini, da Tristano Codignola a Guido Aristarco.
La presenza di quest’ultimo, noto critico cinematografico e direttore della rivista «Cinema nuovo», fece da prodromo alla nascita di un’altra iniziativa di cui Parlavecchia fu protagonista (e che si riallacciava alla sua grande passione giovanile): la nascita nel 1954, sempre presso la biblioteca, del cineclub ‘G. R. Aldo’, che riuscì nell’intento di divulgare nel paese la cultura cinematografica, organizzando numerosi cicli di film.
Fu più volte nella giuria del «Premio letterario 25 aprile», che nella prima metà degli anni ’50 registrò una notevole partecipazione di concorrenti da tutta la regione; fece parte del Comitato della musica e dell’arte, promosso dall’amministrazione comunale; dal 1973 fu membro della redazione di «Ricerca e dibattito», mensile della biblioteca Vallesiana, della cui commissione fece parte fino al 1975.
Parlavecchia non mancò di dare il suo contributo anche a iniziative di rilievo della socialità castellana. Ad esempio nel 1958 fu un membro del comitato che organizzò la presenza a Castelfiorentino della Telesquadra della RAI, vera e propria trasmissione televisiva, un evento rimasto nella memoria collettiva paesana; nel 1960 era tra gli esperti che, in collegamento dalla biblioteca, dovevano rispondere alle domande nella trasmissione radiofonica di Garinei e Giovannini Solo contro tutti, mentre l’anno successivo non mancò di aiutare Certaldo quando la cittadina valdelsana partecipò alla famosa trasmissione televisiva Campanile sera.
Il suo impegnò culturale continuò a Rosignano Marittimo, dove, dopo il pensionamento, fu molto attivo nella locale ‘Università della terza età’, tenendo per molti anni lezioni di letteratura italiana e organizzando, fino alla soglia dei 90 anni, tutti i corsi di questa istituzione. Fu tra i fondatori e gli animatori del Circolo culturale ‘Walter Tobagi’, che a Castiglioncello, negli anni ’80 e ’90, si pose al centro della vita culturale, organizzando mostre, esposizioni, conferenze, dibattiti, con la presenza di pittori, scultori, artisti, scrittori a livello nazionale.
Entrò a far parte della redazione della «Miscellanea» in occasione del suo totale rinnovo nel 1960, il cui primo frutto fu la pubblicazione del fascicolo dedicato al primo centenario dell’Unità d’Italia, quello della «svolta», come ebbe a definirla Sergio Gensini. Il loro sodalizio, maturato nell’ambito dell’insegnamento scolastico, era di lunga data e si era concretizzato in rapporti di stima e di amicizia, che non verranno mai meno, fino alla morte. Gensini, di cui tutti ricordiamo l’acribia, cercava un valido correttore di bozze: era l’epoca della composizione con i caratteri di piombo e dei refusi che cadevano a centinaia in un fascicolo. Lo trovò in Parlavecchia, l’unico di cui si fidava e gli affidò per moltissimi anni tale incarico, allora particolarmente oneroso e che comportava un notevole dispendio di tempo. Forse fu questo uno dei motivi per cui la sua produzione sulla «Miscellanea» è molto limitata.
Nel marzo 1986, al termine di una partecipata e soprattutto tumultuosa assemblea della nostra Società, nel corso della quale si registrò il reale rischio di una profonda spaccatura nel corpo sociale, fu eletto a stragrande maggioranza (155 voti, un risultato non più raggiunto) presidente, confermato nel 1989 per un secondo triennio. Nel 1992 la sua carica venne prorogata dal Consiglio direttivo fino al compimento, nel maggio 1994, del programma di celebrazioni del centenario della Società.
Parlavecchia svolse il suo incarico con grande dedizione: si impegnò nella ricomposizione della frattura creatasi tra alcune sezioni di soci, lavorò in maniera simbiotica con il vicepresidente Bruno Innocenti e il direttore Sergio Gensini, superando in maniera efficace la circostanza di non essere più residente in Valdelsa; del resto, come ebbe a dire nel corso dell’assemblea del 1987: «non è la prima volta che la Società ha un presidente non residente e si può essere residenti e farsi vedere poco, non residenti e venire spesso, proprio per lavorare per la Società».
Nell’arco della sua presidenza si tennero importanti convegni, tra i quali ricordiamo quelli su Vittorio Niccoli, sul patrimonio artistico di Castelfiorentino, su Pompeo Neri, su Cosimo Ridolfi e Meleto, su Orazio Bacci, sulla lavorazione del vetro nel medioevo, sul centenario del 1º Maggio a Castelfiorentino, e infine Dalla Valdelsa alle Indie: cartografi, geografi e scopritori e Il contributo delle società storiche toscane allo sviluppo della storiografia regionale, questi ultimi due per celebrare i centenari della Società e della «Miscellanea».
Il suo nome resterà legato alla Società, oltre che per gli otto anni della presidenza e per i trentacinque di presenza ininterrotta nella redazione, per la compilazione di ben tre indici della «Miscellanea», di cui si sentiva enormemente la mancanza, in quanto ne esistevano due, opera di Michele Cioni e di Socrate Isolani, che coprivano soltanto i primi trenta anni di vita della rivista, Nel giro poco più di tre lustri compilò prima l’indice cinquantennale 1923-1973 (in collaborazione con il figlio Giovanni), poi quello decennale 1974-1983, infine quello centennale 1893-1992, «fatica non lieve (e per di più poco gratificante)», come la definì Gensini, ma che consente tuttora di misurare concretamente il contributo che la «Miscellanea» ha dato alla storiografia toscana e nazionale.
Soprattutto l’impegno per l’indice centennale fu, come scrisse egli stesso nella Introduzione, «lavoro indubbiamente lungo e impegnativo» (cui si accinse solo per le insistenze della redazione) e che volle dedicare «Alla memoria della valdelsana Eda Righi mia moglie». Nella chiusa della citata Introduzione si ritrova la cifra del suo carattere schivo, della sua modestia, del suo spirito di servizio, della sua disponibilità: «Sarebbe bello poter affermare che questa volta non siamo incorsi in errori o omissioni […] pensiamo però di poter affermare che sia gli uni che le altre questa volta siano in numero minore. Del resto (non è una ricerca di immeritate scusanti) anche gli illustri predecessori erano a loro tempo incorsi in sviste più o meno gravi o in dimenticanze. Quando correggere un errore scoperto all’ultimo momento avrebbe significato ributtare all’aria quasi tutto, siamo ricorsi al bis nell’indice per autori. È successo una volta sola, l’altra volta furono tre. Si migliora».
Fabio Dei